Per welfare aziendale s’intende l’insieme di beni e servizi forniti da un’azienda ai propri dipendenti e ai loro familiari. Sebbene non esista una definizione univoca né una disciplina organica in materia, la dottrina è concorde nel considerare welfare aziendale i benefit, le facility, e i servizi alla persona ideati e forniti per diminuire le preoccupazioni dei lavoratori e migliorarne la qualità della vita in modo completo, cioè sia all’interno sia all’esterno dell’azienda. Più specificamente, si tratta degli interventi di natura contrattuale o unilaterali da parte del datore di lavoro tesi a migliorare il benessere del lavoratore e della sua famiglia attraverso modalità “altre” rispetto alla retribuzione.
È importante distinguere tra i cosiddetti benefit e i veri e propri beni e servizi oggetto del welfare aziendale. I benefit sono meccanismi di remunerazione delle performance raggiunte e sono sostitutivi della remunerazione monetaria (ad esempio i premi di risultato detassati).
In generale, i beni e i servizi di welfare aziendale si rifanno a tre grandi dimensioni:
IL TEMPO
a. Flessibilità degli orari e tipologie di contratto (es: il part time)
b. Permessi retribuiti (per malattia dei figli, inserimento all’asilo, ecc.)
c. Smart working e possibilità di lavoro da remoto
IL DENARO
a. Rimborsi a copertura totale o parziale delle spese per l’acquisto di servizi (es: per la cura dei minori o degli anziani)
b. Integrazione del trattamento economico del congedo parentale
c. Estensione, a carico dell’azienda, di coperture assicurative
I SERVIZI
a. Incremento dei servizi offerti in azienda
b. Messa a disposizione di spazi aziendali per servizi on site
c. Offerta di prestazione di professionisti (counselling, servizi fiscali, sportelli di varia natura, ecc.)
Lo sviluppo del welfare aziendale risponde all’esigenza di instaurare un rapporto nuovo, più avanzato, tra lavoratore e azienda: dalle ricerche è emerso infatti che alla maggiore attenzione del datore di lavoro verso i bisogni materiali e immateriali del dipendente corrisponde un aumento della produttività, dell’output e della lealtà del dipendente stesso. Un sistema virtuoso che negli ultimi 10 anni è entrato a pieno titolo anche nel dibattito italiano, sebbene si tratti di un fenomeno di ben più antica data, in quanto nasce e si afferma già all’inizio del secolo scorso, come iniziativa autonoma di imprenditori illuminati che hanno intrapreso e sperimentato politiche e interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita e di benessere dei propri dipendenti e, spesso, delle loro famiglie.
Il welfare aziendale di oggi è il frutto di un percorso che non è stato e non è lineare, nel senso che durante questi decenni, si è sviluppato (e si sviluppa tuttora) “adattandosi” ai bisogni del momento storico, del contesto geografico, delle caratteristiche delle comunità locali nelle quali operano le aziende.
In generale è possibile evidenziare almeno quattro fasi evolutive.
Nella prima fase – quella del cosiddetto welfare degli imprenditori illuminati – si è assistito al tentativo di affermare un modello nuovo e diverso di fabbrica attraverso interventi in campo abitativo (case per i dipendenti, dormitori per gli operai e convitti per le giovani operaie); sanitario (casse mutue di infortunio, malattia); educativo e formativo (scuole aziendali con accesso privilegiato per i figli dei dipendenti); ricreativo (Servizi dopolavoro a carattere ricreativo, sportivo e culturale).
Nella seconda fase evolutiva – quella legata alla Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) – la riflessione sul tema del welfare aziendale si riflette rispetto al territorio in cui l’azienda opera (alle Istituzioni e alla comunità locale) e la dimensione più strettamente di welfare orientata ai bisogni e al benessere delle persone (dipendenti ed eventualmente loro famiglie, in particolare i figli) è decisamente marginale rispetto all’attenzione verso l’ambiente, la cultura, la dimensione sociale in senso generale e trasversale.
La terza fase evolutiva – legata alla valorizzazione del lavoro femminile e conciliazione – è soprattutto il frutto di una spinta politica esogena data dall’interesse delle politiche comunitarie (e, di conseguenza, anche di quella nazionale e regionali) a promuovere il lavoro femminile in piena sinergia con le concomitanti politiche di welfare aziendale.
Infine, nella quarta fase evolutiva, comincia ad affermarsi il paradigma del “Secondo Welfare” che “condiziona” il paniere di beni e servizi che possono rientrare nella nozione di welfare aziendale, includendo quei trattamenti che la normativa fiscale consente di escludere dalla nozione di retribuzione imponibile.
Gli interventi legislativi del 2016/17 che, da un lato, hanno allargato il perimetro delle attività possibili, dall’altro hanno introdotto delle agevolazioni fiscali che lo hanno reso più conveniente per le imprese, dando uno sprint nuovo a tutto il sistema, al punto che – sebbene esistano ancora enormi differenze a livello geografico e di settore merceologico – oggi più di un’impresa su due in Italia attua una qualche forma di piano di welfare aziendale a vantaggio dei propri dipendenti.